Hannu Palosuo: La reminiscenza di essere umano

Roma. Novembre 1999. RipArte, una Fiera d’Arte Contemporanea, allestita allo Sheraton. Un gallerista siciliano, il catanese Musumeci, presenta al pubblico le opere di Hannu Palosuo, artista finlandese trapiantato a Roma. Qualche mese prima, lo avevo incontrato di sfuggita, e ci eravamo riproposti di incontrarci a Roma, durante una mia prossima visita; dunque, il nome non mi era nuovo.

Roma, interno, sala d’albergo. Al muro, due piccole tele, raffiguranti un gruppo di sedie, molto vicine tra loro – un allestimento scenico, la luce proiettata perpendicolarmente sulle sedie, molto teatrale. Blu scuro, marrone, nero. Immediatamente, i quadri catturano la mia attenzione, mi sento intrigata. C’è qualcosa di più, elementi svelati e celati insieme. Il pensiero, la reminiscenza, la nostalgia iniziano a fluire – come di fronte a una foto. Sembra il ritratto di una riunione di famiglia: già, due sedie nel mezzo, e di fronte a ciascuna, altre tre sedie. Una simmetria perfetta: si tratta di una grande riunione, oppure di un incontro più intimo, di un’immagine e il suo riflesso? La ricercata luce teatrale genera ombre forti, scure, da ciascuna sedia. Ecco, ora leggo il titolo: “The portrait of a marriage I and II”, Roma, ottobre 1999. Scene da un matrimonio! Il lieto evento, la coppia felice, sotto gli occhi di amici e parenti.

Da allora, provo sempre un senso di familiarità davanti alle opere di Hannu Palosuo. Sono ormai dieci anni che lo seguo, un decennio di mutazione stilistica e tematica, senza abbandonare mai la principale essenza. La sensazione di qualcosa che non è presente, l’anelito, lo struggimento e la nostalgia: la memoria. Dieci anni, è noto, sono un periodo consistente nella vita di un artista; ho visto compiersi una migrazione dalle tonalità scure fino al bianco accecante, passando per la preziosità di oro, argento e bronzo, per ritornare ancora ai mood del blu scuro, fino al blu-nero, quasi sinistro, accostato ad un elemento cromatico inedito: il marrone della nuda tela. Alti e bassi, sbagliando s’impara, il successo attraverso la sperimentazione: il ciclo continuo nella vita di un artista. L’artista non nasce compiuto, esercita per svilupparsi e migliorare, sfida e conquista nuove frontiere, che stabilisce per sé stesso, in competizione con sé stesso.

Ho visto l’evoluzione della tematica: dalle sedie vuote e sole all’accostamento sedie-ombre, fino alle case, le finestre e le porte, e, più recentemente, gli alberi e i tronchi, in contrapposizione a virgulti minuti ed erbaglie fragili. Eppure resta il tema centrale: qualcosa che consente di vedere altro, ed oltre. Quando con gli occhi ammiriamo, e la mente gode della bellezza, l’anima dà inizio alla reminiscenza. Sono gli osservatori, allora, a portare qualcosa dalle proprie vite all’interno dell’opera, che a propria volta permette loro di interpretare il quadro ciascuno secondo le proprie situazioni esistenziali. Oltre al lavoro dell’artista, scorgiamo una parte di noi stessi.

Hannu Palosuo offre questa opportunità perché dipinge solo ciò che gli è caro, cose e luoghi che ha frequentato, con un significato particolare per lui e per le persone nei suoi paraggi, amici e parenti: le cose che contano. Questa qualità pertiene profondamente all’opera, a disposizione dell’osservatore che è portato a svelarla, che abbia desiderio di farlo. È anche la ragione per cui le opere sembrano condurre un’esistenza dinamica parallela a quella del loro pubblico – come le persone, si evolvono e cambiano. Ogni giorno, possiamo aggiungere qualcosa di nuovo all’opera, o soffermarci sul sentimento iniziale; a nostra scelta, eppure a dimostrare che nuove interpretazioni si aggiungono continuamente, con il trascorrere del tempo.

Anno 2000: Palosuo crea una serie di tele che intitola “All the Chairs of My Life”. Ancora i toni del blu, declinati attraverso quindici tele, ciascuna ritrae un tipo di sedia. Il punto di vista è ancora teatrale, la pennellata blu-azzurro su fondo scuro, con il pavimento a scacchi unico segnale della volontà di definire lo spazio. Sedie che prendono identità diverse, laddove il gruppo sembra la rappresentazione di individualità teatrali, ciascuna con le proprie caratteristiche. La visione d’insieme restituisce forme quasi umane, ritratto di quindici personae diverse, quindici anime distinte. Nel dipingere, l’artista ha immaginato la serie esposta in una sala da pranzo, alle spalle di sedie collocate nello spazio reale. Ed immancabilmente, esposta in occasione di cene e convivi, la serie si pone al centro della discussione. C’è sempre una sedia, almeno una, con la quale l’osservatore può entrare in relazione, e forse identificarsi. Inoltre, è una divertente lezione di storia dello stile d’arredamento per tutti i profani della materia.

Nella stessa mostra, accanto alle sedie di cui sopra, Hannu Palosuo ha esposto ritratti di persone en face, gli unici che io abbia visto, intitolati “We Leave Behind”. Prendono spunto da vecchie foto dell’album di famiglia, e trasmettono un forte intimismo, il che li accomuna alla serie “All the Chairs of My Life”. Da allora, tutte le persone sono raffigurate da dietro, o addirittura come ombre che scaturiscono dalle sedie stesse. Dapprima, le sedie erano raffigurate sulla scena, con la luce che cade dall’alto, proiettando un’ombra esigua; improvvisamente, con il nuovo millennio, le ombre si allungano. Con il cambiamento di direzione della luce, le ombre stesse hanno preso vita, sovente a rubare la scena alle sedie. In alcuni casi, le sedie hanno cominciato a muoversi, rompendo la staticità, per raccontare energia, talvolta disagio, ansia, l’eventualità del caos, la tendenza al disturbo, o quantomeno alla totale indipendenza delle scelte.

Qui persino il fondo pare aver preso vita, spesso coperto d’oro, argento o bronzo. Reminiscenza dell’antica arte delle icone, che glorifica ineffabilmente la santità di uomini e donne che travalicano il mondo mortale, verso l’eternità, immersi nella preziosità degli sfondi in oro o argento. Non sono raffigurati come esseri viventi; già trasfigurati, contengono l’essenza autentica del loro essere. In questi ritratti, la forma umana permane; eppure, scorgiamo significati altri, ben oltre la portata dei comuni mortali. La chiave è la pura semplificazione, ed una chiara enfasi sul tema centrale, omettendo ogni elemento superfluo.

Nella pittura di Palosuo, la sedia prende il posto del santo: osservando il simbolismo della sedia, di cui si è già discusso in precedenza, della relazione con l’umanità, il tema del lento incedere del tempo, della staticità, questa sostituzione appare plausibile. Non a dire che le sedie siano sacre, ma certo a sottolineare l’essenza di serenità e meditazione che pervade il lavoro dell’artista. I dipinti invitano a mettere da parte ogni premura nell’osservazione, per scorgere, forse, l’oltre. La semplicità dei cromatismi, data dai pochi colori utilizzati, la ricerca schietta della semplicità, della vera natura, sono gli elementi essenziali. Basterebbero, secondo me, il numero limitato dei colori e la ripetitività del motivo-sedia, per evidenziare la ricerca dell’artista, nella direzione del semplice, del vero.

La schiettezza, unita al senso di lentezza, addirittura di assenza del tempo, e la progressione lunga, apparentemente incontrollabile delle ombre potrebbero motivare l’interpretazione, sovente formulata in Italia, secondo cui le opere di Palosuo sarebbero pregnate dal concetto tipicamente scandinavo (ma anche russo) del tempo dilatato. Secondo la critica italiana (che probabilmente ci ha visto giusto), alle nostre latitudini il ritmo della vita scorre molto più lento, se non si vuole addirittura definire statico. Sono i critici italiani ad accorgersene; ancora una volta, la prospettiva del distacco consente di scorgere la vera realtà.

Lentamente, dalle ombre delle sedie, prendono forma nuove figure. Su una delle sedute è ritratta una persona, sotto forma d’ombra, magari un proprietario precedente. “Happy Days” è una serie ricca per varietà di sgargianti tappezzerie e sedi in legno, dipinte su fondo bianco. Le ombre sono di cemento grigio, talvolta svelano la tela. La serie “In Silence Dreams are Hidden” rappresenta la piena evoluzione di queste inclinazioni. Palosuo comincia a muoversi tra mondi paralleli, l’oggetto-sedia dipinto quasi ad essere tangibile, la memoria dell’ombra, lo sfondo, tutti eseguiti con media diversi. D’ora in poi, il suo lavoro diventa più complesso, pur impegnandosi nella ricerca di semplicità. “The Rest of Nothing”: in questa serie, l’ombra stessa è dipinta, e lo sfondo è lasciato intatto, solo tela. Palosuo fa sul serio, gioca con l’illusionismo pittorico: dato che vediamo sempre e solo il colore, perché non promuovere la materia prima, la tela, a strato della pittura?

Marzo 2007. La Fenice di Venezia mette in scena Erwartung, di Schönberg. La scenografia utilizza brillantemente i dipinti di Palosuo; stavolta, però, niente sedie, ma alberi, tronchi e dimore nordiche. La casa ricorrente nei quadri di Palosuo è la dimora estiva dei nonni, una villa sul lago, nella Finlandia centrale: due piani, in legno, i camini slanciati, la casa dove Hannu ha trascorso le estati dell’infanzia. Nei dipinti, la villa appare vuota, quasi abbandonata, eccetto per qualche variante notturna – le molte finestre proiettano una luce invitante, calda. Come con le sedie, case e alberi sono raffigurati dall’artista in quanto cari a lui, agli amici, alla famiglia. Ovvero, cose e luoghi di realtà, o che lo siano stati in passato, lasciando un segno importante.

Nei primi paesaggi di Palosuo non ci sono ampie vedute, né scorci di cielo aperto. Palosuo interpreta il paesaggio come unità ben ordinata, porzione saldamente sigillata di una foresta curata, non selvaggia. Composizione equilibrata, visione ravvicinata, molto teatrale.  Tronchi, sistemati con cura, e il fitto fogliame che li ricopre ci accompagna sulla scena, vicino alle quinte. I cromatismi ridotti ai toni del blu e blu scuro alludono ai notturni. Il contrasto con il bianco accennato restituisce ariosità, una foschia quasi irreale, o forse le sensazioni tipiche delle fotografie sbiadite. Il senso di familiarità accostato all’inconoscibile. Come le foreste, che offrono rifugio ma incutono timore. Non si riesce a distoglierne lo sguardo.

Palosuo continua a sviluppare il tema degli alberi, in direzione di una progressiva semplificazione. Nel 2007 realizza un dittico di notevole espressività, “Denying One’s Destiny”, composto da due tele di grande formato, che ritraggono nudi tronchi. L’unica, veniale deviazione dai forti tratti verticali sono minuscoli ramoscelli. Attraverso i dittici, e i trittici, Paloso preconizza l’idea della serialità delle opere, che diviene una caratteristica esenziale del suo lavoro. I quadri sembrano scaturire da un contesto più ampio, seguendo di volta in volta una compiuta concettualità. Questo tratto organico si scorge anche nella scelta dei titoli, senza dubbio molto importante per l’artista: titoli che incorporano le opere sotto un segno comune.

L’introduzione della tela come strato pittorico delinea chiaramente la direzione del percorso. La semplice bicromia implica tre possibilità: il marrone (della tela), i toni del blu, e il bianco deciso. Lo stesso motivo, eseguito tre volte seguendo ciascuna di queste opzioni, consente a Palosuo di rappresentare un’ampia, cangiante varietà di modi espressivi e sentimenti. Non si può non avvertire la potenza dell’idea del ripetere. Un approccio esemplificato dalla serie “When the Truth Lies” (2006); lo stesso motivo applicato in tre declinazioni diverse.

Un paio d’anni più tardi, tuttavia, Hannu introduce temi diversi, accorpandoli in serie raccolte sotto un titolo comune. Uno degli ultimi lavori, cui tuttora si aggiungono nuovi pezzi è “My Life was a Burning Illusion” (2008); ad oggi, comprende un paio di dozzine di dipinti. I temi variano da alberi in pieno rigoglio a tronchi spogli, fino a teneri virgulti, e un bimbo che fa l’altalena. L’installazione che ho visto era composta di dodici pezzi; mi sono resa conto di come combinazioni e collocazioni fossero infinite; a ciascuno la propria scelta. Un’altra rivelazione: ora che l’artista combina motivi diversi, non può più accostare schemi cromatici diversi; tutti questi dipinti declinano i toni del blu, contrapposti al marrone della nuda tela.

La varietà dei motivi combinati, e l’inserimento di una figura umana, invogliano il pubblico a cercare una storia tra le immagini. Siamo forse giunti alla fine del tempo del mero, struggente desiderio – i giorni delle sedie vuote, delle case e degli alberi giungono al termine? Forse, l’artista combina tutti gli elementi, in modo da svelarci l’intera narrazione? Eppure, non ho dubbi che l’artista continuerà con il suo tratto delicato ad accennare appena alle soluzioni, in modo che l’interpretazione finale sia lasciata al pubblico, a cui consente di entrare nei dipinti. Con queste serie, composte ciascuna di strati, di mondi diversi, Palosuo costruisce il palco, dove gli osservatori possono salire, e interpretare sé stessi, nella maniera a loro più congeniale.

All’inizio del 2008, emerge un elemento inedito, a far da contrappunto alle linee forti dei tronchi: piante delicate, teneri virgulti, ed erbaglie qualsiasi. Queste piante in fiore oscillano su steli sottili, in balia del vento. La loro bellezza e romanticismo sono senza riserve, eppure ci raccontano con forza la loro esigenza di emergere dal suolo, sopravvivere, svilupparsi, fiorire – magari raggiungendo le medesime sommità degli alberi. Dal minuscolo all’estremamente grande, l’occhio dell’artista cattura tutto, e con lo stesso interesse.

Le piante, assieme al fatto che il motivo è la sola porzione di tela intatta, portano ad una nuova consapevolezza. Con “Ne me quittes pas – un Requiem” Palosuo cambia il modo di guardare ai propri lavori. Osserviamo una finestra: è il telaio l’elemento più vicino all’osservatore, il cui mondo è ancora una volta il vuoto, la tela intatta. Il telaio, ritratto per differenza, proietta un’ombra scura sul fondo dipinto, il mondo della realtà, contrapposto al mondo vuoto: il mondo delle illusioni è proprio quello dell’osservatore. In quadri come questi, il vero elemento d’interesse risiede non nel dipinto, ma oltre, in un mondo che possiamo solo tentare di afferrare. Quanto è appropriato, allora, fare di una finestra il tema centrale, elemento attraverso il quale si può osservare l’oltre, ma anche oggetto che può essere aperto?

Verità e bellezza. In tutte le epoche, ci sono stati artisti che hanno ricercato la verità nella bellezza. In Finlandia, alla fine del XIX secolo, fra questi artisti si segnalano Ellen Thesleff, che dopo gli inizi da simbolista, si è evoluta come colorista pura, all’inizio del XX secolo; oppure Hugo Simberg, preso dal proprio mondo di fantasie, che, per quanto ne sappiamo, potrebbero essere più reali delle nostre. Ad ogni buon conto, ai temi immaginari si aggiungono elementi di realtà, o visioni tratte dal suo buen retiro estivo, prossimo al confine Russo. Così l’incontro tra realtà e fantasia, su un piano puramente concreto.

Ora possiamo paragonare Hannu Palosuo con altri artisti finlandesi che lo hanno preceduto, e addirittura con i finlandesi come popolo. Il finlandese che sia stato così fortunato da godersi le stagioni estive dell’infanzia in una villa nell’arcipelago, o in un cottage sul lago, si porterà dietro questi ricordi per tutta la vita. Sarà il suo scrigno dei tesori, da cui estrarre esperienze, suggestioni e memorie d’ogni genere. Forse perché alle nostre latitudini le estati sono brevi e fresche, e gli inverni scuri e implacabilmente lunghi, noi nordici amiamo intensamente l’estate. In finlandese, una volta si contava l’età col numero delle estati vissute. In estate, la natura diventa più accessibile a noi – ed è la natura che ci consente di trovare il nostro equilibrio migliore. 

Pia Maria Montonen • 2008

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