Hannu Palosuo — Saggio di Berndt Arell (2006)
Berndt Arell 2006
To dare
"I nostri svaghi sono finiti. Questi nostri attori, come già vi ho detto,
erano tutti degli spiriti, e si sono dissolti in aria,
in aria sottile. Così, come il non fondato edificio di questa visione,
si dissolveranno le torri, le cui cime toccano le nubi,
i sontuosi palazzi, i solenni templi, lo stesso immenso globo
e tutto ciò che esso contiene, e al pari di questo incorporeo spettacolo svanito,
non lasceranno dietro di sé la più piccola traccia.
Noi siamo della stessa sostanza di cui son fatti i sogni,
e la nostra breve vita è circondata da un sonno. "
Osservando le opere più recenti di Hannu Palosuo, traspare inevitabilmente la sensazione di un mondo sognato e scomparso. Shakespeare lascia che Prospero, duca di Milano nel dramma ”La tempesta”, si pronunci con le parole appena citate, per descrivere una realtà difficilmente comprensibile. Allo stesso modo, Hannu Palosuo descrive la propria realtà attraverso le sue immagini. La prima impressione è il vuoto generale. Nulla sembra accadere in questi dipinti. Il racconto, il messaggio, l'evento, si verifica prima che l’immagine sia realizzata – oppure al di fuori di essa, più tardi. Così come Prospero vede il mondo scomparire, Palosuo scorge l’incostanza nell’esistenza. L'artista elabora tutto ciò immortalando l'accaduto, fissandolo sulla tela. È un modo per imprimerlo, ricordare e trasformare qualche cosa che è stato per lui significativo. La chiave alla lettura dell’immagine sono i titoli dei dipinti. Se si leggono in ordine cronologico, cosa che forse si dovrebbe sempre fare, si costruisce contemporaneamente il racconto di vita dell’artista.
La costruzione delle immagini di Hannu Palosuo è spesso contraddittoria. Ovviamente si tratta di una pittura molto bella – queste immagini sono esteticamente attraenti. Il pennello di Palosuo è ben fermo nella sua mano e ubbidisce alla volontà del suo maestro. I diversi esperimenti sui materiali, la mescolanza di tecniche diverse sono una parte della sua ricerca, sono mezzi di ricerca interiore, esplorazione della realtà interiore. La sedia, che è diventata il principale segno di riconoscimento dell’artista, forse anche una sedia di marca, non è dunque solo ”una sedia”, ma piuttosto un segno, un simbolo, forse una metafora per l’artista stesso. Un dipinto del 1999 è stato addirittura intitolato Ritratto. Se si parte dall’ipotesi che la sedia è l’alter ego dell’artista, o, forse, l’artista stesso, si potranno interpretare le immagini come se fossero fogli di un diario. È in questa maniera che si deve osservare l’arte di Hannu Palosuo – l’aspetto autobiografico è un tema trasversale, e le sedie supportano il racconto. Tema delle opere, dunque, non è quello che le immagini rappresentano a prima vista, vecchie sedie, seppure pregiate. Piuttosto, l'artista ci pone di fronte all’effimerità della vita.
Le età dell’uomo
Approssimativamente, i dipinti possono essere suddivisi in tre gruppi tematici: infanzia, gioventù, età adulta. Il racconto scorre ininterrottamente attraverso questi momenti diversi. Siccome Palosuo utilizza la propria storia personale, l'album di famiglia e i ricordi (d'infanzia), si può leggere il diario con una chiarezza che lascia a desiderare.
L’innocente ragazzino rivolge lo sguardo direttamente al fruitore: ha tutta la vita davanti a sé. Lo attende un sentiero luminoso, assolato. Il mondo è pronto per essere scoperto. È proprio questo il tema delle opere della serie ”The discreet charm of the bourgeoisie”: il ragazzino, pian piano, ma con curiosità, osserva l’ambiente circostante. Lo sfondo candido quasi come neve e l’ombra decisa, drammatica rafforzano l’impressione del sole, del calore, dell’estate. Lo stesso motivo si ritrova anche nella serie più datata ”Souriants souvenirs”; sebbene qui l'atmosfera sia completamente diversa. Il ragazzino che cammina, con indosso appena i calzoncini, si muove all’interno di una stanza parzialmente buia e minacciosa. La metà dell’immagine è inserita in un’ombra nera, e solo il pavimento a quadri lascia intendere che ci troviamo in una stanza grande, che sembra proseguire quasi nell’eternità. Il neonato più piccolo giace bocconi sulla sua coperta, e guarda indietro, verso di noi, oltre la propria spalla, ma sembra andare anche lui verso la stanza buia e spaventosa. Forse la strada soleggiata non è così soleggiata, nonostante tutto.
L’album di famiglia, quello vero oppure uno immaginario, è stato un modello per i dipinti che potevano essere interpretati come le immagini della gioventù. La serie dell’anno 2005 ”In silence dreams are hidden” ha rappresentato una svolta per l’artista. Egli ha duplicato la sua immagine, e ha così dipinto un quadro reale e concreto davanti ad un mondo sognato, oppure davanti a ciò che è accaduto. In questa serie, le sedie sono tutte dipinte in colori forti, quasi chiassosi, evidenziando bene il contrasto con il mondo delle ombre che, in qualche modo, si trova dietro di loro. Sono immagini di ciò che è accaduto, che le sedie hanno testimoniato e vissuto, e dunque, in qualche modo, portano con sé. Vediamo il bambino piccolo, seduto con le gambe a penzoloni su una sedia troppo grande, osserviamo l'orgoglio con cui i giovani genitori lèvano al cielo il proprio marmocchietto, oppure un ragazzo immerso nei suoi pensieri, seduto in terra davanti alla sua sedia. Così scaturisce il racconto, come in un teatro d’ombre. Il tema cromatico è caldo, il tono generale positivo. Versioni precedenti di questo motivo, come, ad esempio, ”We leave behind” del 1999, sono state dipinte con cromatismi scuri, quasi cupi. Toni ereditati direttamente dalle vecchie foto in bianco e nero.
Il giovane uomo vive, poi, una vita più intensa. I dipinti raccontano di sentimenti profondi, di conflitti, di delusioni ma anche di estasi euforica. Palosuo stesso indica il tono per l’interpretazione di queste immagini, che chiama La storia d’amore del secolo (The love story of the century, 1998). Se si cerca un parallelo con un genere letterario, nemmeno questa è una fiaba a lieto fine. L’immagine è espressa nei toni del marrone; mostra una stanza mansardata, vuota. La porta è spalancata e la tenda svolazza davanti alla finestra aperta. La stanza è vuota, abbandonata. L’amore è scappato via. Essa è, a dire il vero, significativa per la serie d’immagini che seguono. Ci muoviamo intorno al tema dell’amore come gatti che indugiano intorno alla scodella, perché il cibo sembra ancora troppo bollente – è chiaro che si tratta dell’amore e dell’innamoramento – ma di chi, e dove? Come nel libro di Märta Tikkanen che narra la sua storia d’amore con il marito Henrik, anche qui si può intuire un tema simile. Sono ancora i titoli dei quadri a darci preziosi indizi. ”Memory of a love story” oppure ”I confess that I, too, have suffered for love” rivelano la natura del motivo. Questo è l’amore della sofferenza e dell’abbandono. L’artista racconta del suo amore, dei ricordi del suo amore e del suo anelare. Come nella poesia di Edith Södergran:
Anelo andare nella terra che non è,
perché sono stanca di agognare tutto quello che è.
La luna mi racconta con lettere argentee
della terra che non è.
La terra dove tutti i nostri desideri si realizzano
mirabilmente,
la terra dove cadono tutte le nostre catene,
dove ci rinfreschiamo la fronte straziata
nella rugiada della luna.
La mia vita fu un'illusione ardente.
Ma una cosa ho trovata e una cosa ho veramente conquistata -
la via per la terra che non è.
Nella terra che non è
cammina il mio amato portando la corona scintillante.
Chi è il mio amato? La notte è scura
e le stelle tremano per la risposta.
Chi è il mio amato? Qual'è il suo nome?
I cieli s'inarcano sempre più in alto,
e un figlio d'uomo annega nelle nebbie infinite
senza sapere la risposta.
Ma un figlio d'uomo non è nient' altro che certezza.
E si alza le braccia più in alto di tutti i cieli.
E una risposta arriva: sono io quello che ami
e amerai sempre.[1]
Sono molte le similitudini fra questa poesia e la ricerca di Hannu Palosuo. Anche esternamente, la lingua armoniosa e il bel ritmo hanno molti punti d’incontro fra di loro. La problematica che la Södergran affronta "chi è il mio amato, qual’è il suo nome?" è la stessa che affligge Palosuo. Nei dipinti, egli torna volta dopo volta alla persona amata; forse è l'oggetto dell'amore a cambiare, ma non ci sono dubbi sulla sua intensità. Nella serie ”Besides all, I did love him” (1999) l’artista adotta un metodo narrativo tipico del fumetto nel raccontare la propria storia. Il pavimento della vita, a piastrelle quadrate, sembra ben organizzato, lineare. Al contrario, le sedie si comportano proprio come vogliono. Qualche volta possono essere lasciate diritte, in riga, oppure disposte in un gruppo regolare, per poi mescolare il tutto. Qualcuna si discosta dal disegno, non rispetta le regole concordate. Il risultato non può essere che il caos, sedie rovesciate che parlano da sole.
La stanza è, dunque, raccontata attraverso il pavimento a quadri, le pareti non si vedono. Ci troviamo in un ambiente scenico, in una ”stanza” evidente. Nei dipinti successivi, questo pavimento sparisce, e lo spazio di una stanza si può a malapena intuire. In questi dipinti, l’artista lavora con le ombre per definire la stanza. Le ombre, decisamente allungate, costruiscono quest’immagine. Questi lavori, inseriti nella serie”I confess” (2001) emanano una specie di solitudine cosmica, qui ci si trova completamente soli in una ”stanza” eterna i cui i limiti non si possono nemmeno intuire. L’esposizione diventa fisicamente quasi percepibile.
Nuovi materiali
Da questa svolta quasi minimalista – l'esclusione di tutti gli elementi, eccezion fatta per la sedia – l’artista si spinge sorprendentemente verso un’altra direzione. Si interessa a sperimentazioni con materiali diversi, e mescola liberamente tecniche eterogenee. I risultati che raggiunge sono inediti. Le immagini sono molto drammatiche; si può dire che urlino, quasi, e i messaggi che portano a voce spiegata non sono simpatici. Palosuo lavora con superfici metalliche e con la tecnica dell’ossidazione. E’ evidente il fascino esercitato sull'artista dalla bellezza di queste superfici che sia affascinato da queste belle superfici, dai colori della terra e dalla loro imprevedibilità. Il pigmento, il colore in sé, è piacevole ma l’immagine che costruisce è spaventosa. Grazie alla struttura della superficie, le immagini acquistano una profondità che è difficile riprodurre con il pennello; sembra che continuino per l’eternità. La serie ”Childhood playground” (2004) è un racconto di caos e confusione, dove niente è come dovrebbe essere. Anche in queste immagini, due dipinti diversi sembrano apparire in uno: la sedia vera e la pittura ossidata, quasi formalistica. Il bello di queste immagini lo si trova nei materiali, nei diversi metalli e nelle formazioni ossidate liquide. In un certo senso si potrebbe affermare che il bello qui si dovrebbe cercare nel suo contrario: la sporca superficie metallica diventa bella ai nostri occhi grazie alla bellezza del materiale in sé (il pigmento). Simili esperimenti sui materiali e percorsi di ricerca furono intrapresi da diversi artisti negli anni ’70, prima di tutto a New York. Fra i più famosi si possono forse citare i dipinti di Andy Warhol, ”Oxidation paintings”; al centro del processo creativo, l'artista che orina su tele coperte da un colore a base di rame. In questo caso, è proprio il processo ad avere un significato chiave; eppure, colpisce la similitudine con i dipinti di Palosuo. Gli ultimi dipinti, per i quali l’artista ha utilizzato cemento denso e colori ad olio, hanno in qualche modo il loro punto di partenza nei dipinti cosmici, vuoti. Per aggiungere un tocco di tridimensionalità, egli dipinge in rilievo, utilizzando calcina densa. Come nei dipinti ossidati, anche qui il materiale in sé è un componente importante nella costruzione dell’immagine. Il punto di partenza per le immagini è stato l’album di famiglia; le sedie raccontano qui le loro storie, con l’aiuto di ricordi ombrosi.
Nelle immagini più recenti Hannu Palosuo ha continuato ad attingere dal suo album di famiglia, e forse anche da quello di qualcun altro. Le immagini sono grandi, fredde, gelide, diremmo. Egli dipinge tradizionalmente ad olio su tela, ma attenendosi ad una fredda e limitata tonalità azzurra. In tutte le immagini, i soggetti ritratti guardano lontano, fuori dall’immagine stessa. Fra l’osservatore ed il soggetto ritratto non si crea alcun contatto, la direzione è all’esterno. Le immagini sono, nello stesso tempo, immagini di nostalgia. Sono tristi, malinconiche, esprimono la mancanza di qualche cosa che è esistito, che è stato ma che ora è scomparso. In realtà, la serie è composta da due parti diverse, che portano lo stesso nome ”The dream that dares not to tell its name”. Il tema della sedia trova qui una nuova interpretazione, i mobili, dipinti con tratto chiaro, si trovano in stanze ben delineate, stanze delimitate da finestre. Dunque, siamo in controluce – Palosuo ha girato la direzione della luce. Egli non racconta se si tratta di una luce alla fine del tunnel – cioè la speranza di una soluzione positiva, oppure di una luce abbagliante, disturbante.
La più vasta serie di immagini è stata presa dall’album delle foto. La scelta cromatica in questi dipinti è la stessa; immagini sui toni dell'azzurro. Sopra di esse aleggia un lieve tono di malinconia e di tristezza. Le persone aspettano, anelano e sperano. La speranza è al di fuori dell’immagine, la direzione è in avanti, in dentro e possiamo solo intuire ciò che ci aspetta. La nostalgia dell’amore perduto potrebbe essere un tema che sintetizza questa nuova serie azzurra. Una pittura sicura e rassicurante, che però muove verso qualche altra direzione. Una nuova direzione. Il titolo della serie cita in maniera evidente la definizione di Oscar Wilde sull’amore omosessuale: ”The love that dares not to tell its name”. Può darsi sia questo che l’artista sogna nei dipinti azzurri.
Berndt Arell
[1] Edith Södergran, traduzione Leena Meier, 2006